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Impressioni dal Totentanz – Franz Liszt

Franz Liszt

Avevo circa dieci anni quando, dopo un saggio di pianoforte a Palosco, ricevetti in omaggio un cd grigio con scritto sopra il nome di Liszt. A dire il vero rimasi un po’ deluso: c’era chi aveva preso Chopin, Mozart, Bach, musicisti che perlomeno conoscevo. Liszt non mi diceva assolutamente nulla. Me ne tornai a casa col mio cd grigio, un po’ rassegnato e lo misi nel comodino. Solo dopo qualche settimana, preso dalle pulizie estive della mia cameretta, decisi di provare a inserirlo nello stereo: fu una rivelazione. Le melodie erano dolci e belle, ma la cosa che più mi colpì fu l’ultimo brano. Era una musica tetra, da paura, iniziava con note bassissime sul pianoforte, note per me inesistenti, mai nemmeno sfiorate. Aveva un forte senso di mistero, capace di riportarti nel lontano Medioevo, di cui ora come allora subisco il fascino. Quelle note ricreavano alla perfezione quello che per me bambino era uno scenario fantastico, ricco di atmosfere magiche popolate da castelli e cavalieri pronti a sfidarsi in battaglia. Corsi subito a leggere la custodia del cd per capire di che brano si trattasse. Ancora una volta una delusione: “Totentanz”. Incapace di comprenderne il significato, mi lasciavo cullare dalla musica e non appena terminava, ancora inappagato, premevo il tasto per farla ripartire.

Sono passati quasi quindici anni dalla prima volta che ascoltai quel disco. Giusto l’anno scorso l’ho ritrovato e ho deciso di riascoltarlo in macchina: ricordi, emozioni passate riaffioravano, ora più consapevoli, ma comunque sorprendenti. Studiato tedesco al liceo, approfondita la conoscenza della musica sacra e profana, solo ora comprendo in pieno la grandezza di quel pezzo: Totentanz, la danza macabra, creata da Liszt sul tema della sequenza del Dies Irae gregoriano. Non a caso si tratta di una sorta di variazioni sul tema, come tanti piccoli affreschi collegati tra di loro da un filo rosso.

Il trionfo della morte-Pisa

Si dice tra l’altro che Liszt abbia avuto un’illuminazione dopo aver ammirato il grande affresco del Trionfo della Morte nel Camposanto di Pisa. Lunga fu la gestazione dell’opera, che subì varie modifiche tra il 1838 e il 1865, anno in cui fu presentata al pubblico. Il tempo di Liszt, intriso di Romanticismo, subiva certamente il fascino di quelli che allora erano considerati i “tempi bui” del Medioevo, densi di religiosità e timor di Dio, di paesaggi sterminati, notti nere illuminate dalla luna e libri consultati a lume di candela. Tutto questo è racchiuso nel grande affresco musicale composto da Liszt, in cui ogni quadro suscita un insieme di emozioni contrapposte, quasi come se ogni tema si facesse racconto di un personaggio diverso al

Frammento manoscritto del totentanz

seguito della danza vorticosa della Morte. Il pianoforte è contornato da un’orchestra capace di creare il contesto musicale voluto, ma lui resta il protagonista: slanci virtuosistici, melodie talvolta sommesse talvolta intrepide, tocchi leggeri come ali di farfalle e pesanti da sprofondare all’inferno ricreano di volta in volta la magica narrazione di un musicista visionario che, al pari di Dante, ha saputo raccontare magistralmente uno dei più grandi misteri dell’uomo.

Quel cd grigio che la maestra Elisabetta mi aveva consegnato col sorriso, dicendomi “Bravo Marco!”, ecco, forse è proprio quello che oggi avrei accolto con gratitudine e devozione.

Marco Grassi studente di pianoforte

MOZART, AVE VERUM CORPUS

lamentation-Andrea Solario

L’Ave Verum Corpus, catalogata nelle opere mozartiane come K.618, è un mottetto in re maggiore del noto compositore austriaco. Questa composizione è basata su un inno eucaristico del XIV secolo, riguardante il credo cattolico della presenza del corpo di Gesù Cristo nel sacramento eucaristico. Questa di Mozart è di gran lunga la composizione più celebre basata e costruita su questo testo. Il mottetto, per coro misto, archi e organo, è stato composto a Baden, nei pressi della capitale austriaca, ed eseguito per la prima volta nella Chiesa Parrocchiale della stessa città, nel giugno del 1791. Nell’estate dello stesso anno Mozart aveva raggiunto la moglie Costanza a Baden, dove lei in attesa del sesto figlio, si trovava per delle cure. Qui il compositore scrisse questo breve mottetto con la finalità di sentirlo eseguito nella solennità del Corpus Domini, nella Chiesa Parrocchiale della città. Mozart, per riuscire a sdebitarsi da alcuni favori ricevuti, dedicò la composizione all’amico Anton Stoll, Keppelmeister (maestro di cappella) e direttore del coro della Chiesa di Baden. Mozart non aveva mai amato molto scrivere musica sacra, infatti l’Ave Verum Corpus è propio una delle poche opere di questo genere scritte dal musicista, insieme alla Messa

Ave Verum – autografo Mozart

in do minore K.427 e il famosissimo Requiem. Questo mottetto è scritto per coro misto (soprani, contralti, tenori e bassi), orchestra ad archi e organo; sulla partitura Mozart indicò soltanto la data nella quale lavorò sulla composizione e una sola indicazione: “sotto voce”. Il brano è molto semplice ed è di sole 46 battute. Il brano inizia con l’introduzione orchestrale che è seguita dall’entrata del coro; dopo uno sviluppo molto lineare l’orchestra porta il mottetto alla conclusione. La grande semplicità del pezzo è dovuta, in parte, alle indicazione date dalla corte di Vienna, la quale esigeva la massima essenzialità per le opere di carattere religioso. L’attenzione all’utilizzo dei timbri e delle sonorità, la grande cura data alle parole, la grazia della scrittura musicale ne fanno uno dei momenti più apprezzati della letteratura mozartiana. Questo brano venne rielaborato dal noto compositore russo Petr II’ic Cajkovski, inserendolo nel terzo movimento della Suite n.4, op.61, nota appunto come “mozartiana”.

riportiamo il testo in latino e la relativa traduzione in italiano, e il link per l’ascolto.

«Ave Verum Corpus natum de Maria Virgine,
Vere passum, immolatum in cruce pro homine,
Cuius latus perforatum fluxit aqua et sanguine,
Esto nobis praegustatum in mortis examine.
O Iesu dulcis, O Iesu pie, O Iesu, fili Mariae,
Miserere mei. Amen.»

«Ave, o vero corpo, nato da Maria Vergine,
che veramente patì e fu immolato sulla croce per l’uomo,
dal cui fianco squarciato sgorgarono acqua e sangue:
fa’ che noi possiamo gustarti nella prova suprema della morte.
O Gesù dolce, o Gesù pio, o Gesù figlio di Maria.
Pietà di me. Amen.»

Giovanni Signorelli (studente)

J.S.BACH PARTITA BWV 825 – GUIDA ALL’ASCOLTO

 

In musica la Partita è una raccolta di brani molto in voga durante il periodo barocco e composta per allietare le giornate di signori e principi.

Moltissimi compositori barocchi, infatti, hanno scritto e pubblicato le loro partite ed ognuno di loro ha interpretato questo genere nel modo che riteneva più congeniale ai propri bisogni e ai quelli dei propri committenti.

In un primo momento, il termine Partita veniva utilizzato per alludere semplicemente ad un genere musicale per strumento a tastiera – clavicembalo o organo – oppure per strumento solista – violino, oboe, violoncello ecc. – eventualmente accompagnato da altro strumento (cd continuo); e strutturato come raccolta di variazioni preceduta dall’esposizione del tema prescelto dal compositore.

Esempi in tal senso si ritrovano in:

  • Girolamo Frescobaldi (“Partita sopra il tema della follia” e “Cento partite sopra Passacagli“, ecc.);
  • Bernardo Pasquini (“Partite diverse di follia“, ecc.).

 

Con il passare del tempo la Partita comincia a strutturarsi come raccolta di danze e arie strumentali. Esempi in tal senso si ritrovano in:

  • Georg Friedrich Händel (2 Partite e 30 Suites,);
  • Georg Philipp Telemann (6 partite).

Tuttavia, è solo con Bach che la Partita assume tratti nuovi, ben definiti e rigorosi, in quanto questa si articola sempre in 7 parti o danze. Per questi motivi la Partita bachiana viene definita anche “Suite Tedesca”. Il prototipo delle 6 partite scritte da Bach si articola un/una:

  1. Pezzo introduttivo.
  2. Allemanda.
  3. Corrente.
  4. Sarabanda.
  5. Una danza a scelta: minuetto, passepied, rondò o gavotta.
  6. Una seconda danza a scelta, come al punto precedente.
  7. Giga.

La Partita BWV 825 è la prima delle 6, composte tra il 1726 e il 1730 e pubblicate nel Clavier-Übung. Più in particolare, la prima partita si compone di un/una:

  • Praeludium.
  • Allemanda.
  • Corrente.
  • Sarabanda.
  • Minuetto I e Minuetto II.
  • Giga.

La tonalità scelta da Bach – si bemolle maggiore – conferisce alla Prima Partita un carattere sereno, vivace e cristallino.

Praeludium dalla Suite BWV 825

Il Praeludium è il brano che apre la suite ed è scritto in forma polifonica e libera. Le 3 voci,

infatti, si muovono liberamente intrecciandosi nell’esposizione del soggetto.

L’Allemanda è la prima danza della Partita, scritta in stile polifonico a 3 voci ed in tempo “Allegro moderato”.

La Corrente è la seconda danza della Partita, in tempo “vivace” e a 2 voci. L’originalità di questo brano sta nel ritmo utilizzato da Bach. Il soggetto, infatti, è caratterizzato da terzine  che si susseguono senza interruzione dall’inizio sino alla conclusione del brano, mentre l’accompagnamento è caratterizzato dal ripetersi di un ritmo puntato. La combinazione di questi elementi, uniti alla tonalità di impianto dell’opera, conferiscono a questa Corrente un senso di gioia profonda ed incontenibile.

La Sarabanda è la terza danza della suite. Si tratta di una forma musicale antica, lenta e solenne.

I Minuetto I e II sono rispettivamente le danze quarta e quinta, eseguite senza soluzione di continuità, quasi si trattasse di un unico brano.

La Giga, infine, chiude la Partita. Tra tutte le parti, è senz’altro il brano più appariscente della suite in quanto richiede all’esecutore grande destrezza a causa dei repentini cambi di registro e dalla necessità di dover continuamente incrociare le mani.

Qui di seguito alcune proposte di ascolto:

  1. Sokolov – Bach: Partita No. 1 in B-flat Major, BWV 825;
  2. Partita No. 1 in B flat Major, BWV825 [Glenn Gould piano];
  3. J. S. Bach Partita No. 1 BWV 825, Scott Ross [harpsichord];
  4. Karl Richter – Partita No. 1 in B flat Major – BWV 825.

… buon ascolto!

Stefano Donatelli

Ezio Bosso – La musica come atto d’amore

Non posso permettermi di parlare di musica o dei compositori, siano essi classici o moderni, perché non ne ho la competenza e certamente scriverei stupidaggini. Potrei forse descrivere le emozioni che provo quando ascolto dei brani di musica classica oppure le parole di una canzone. Ma sono sensazioni così personali ed intime che non sono capace di scriverne senza banalizzare. Allora prendo in prestito le parole di un pianista, compositore e direttore d’orchestra, che purtroppo ci ha lasciati troppo presto, il Maestro Ezio Bosso. Parole che ti entrano nel cuore e non se ne escono più.

Sei d’accordo con chi definisce “classica” la tua musica?

La voce è un po’ incerta, le parole escono un poco frammentate a causa della malattia, ma proprio per questo sono più autentiche ed emozionanti.

Non sono nemmeno d’accordo con chi la definisce mia. Per me la musica non è di nessuno. Chi mette le mani chi la scrive non è…..

Certo Bach è Bach, poi diventa Ezio quando la suona, Paolo quando la ascolta..

E’ nostra! La musica è nostra, non è di uno. A me quando uno mi dice ti piace la mia musica?… Se posso ascoltarla..se è tua. ..se mi lasci.

E’ questa la magia.

Chi scrive la musica la scrive per lasciarla a qualcun altro.

E’ un atto d’amore.

Le parole continuano ad uscire con quell’incedere claudicante ma che trasudano amore e profonda passione.

Beethoven noi lo vediamo sempre come quel mezzo busto un po’ arrabbiato e invece era un uomo estremamente libero.

Era un uomo.. io lo dico sempre noi che..… io appartengo a quella musica impropriamente chiamata classica che io chiamo libera perché nel momento in cui la scrivo è di tutti.

Beethoven era una persona, noi suoniamo l’esperienza la vita l’amore la storia di una persona ogni volta.

E lui era uno libero, proprio libero, lui professava di essere libero, di stare nelle regole ma migliorarle, cambiarle.”

un mio piccolo contributo per ricordare Ezio Bosso.
Carboncino e matita bianca su cartoncino nero

E immaginandoti di fare un tuffo nel passato e di trovarti difronte al tuo padre musicale cosa gli suoneresti?

Un brano che mi ha cambiato la vita.

Un brano che da piccolo volevo suonare a tutti i costi….a tutti i costi.

I maestri non me la facevano suonare perché ero troppo piccolo, e io di nascosto sono andato a comprare la partitura.”

Un brano che già Beethoven non voleva più suonare perché diventato troppo popolare.

E’ uno dei nostri difetti, ci critichiamo tanto che quando un brano piace a tutti allora no, no… non lo voglio più fare, perché è paura no…”

E allora gli suoneresti proprio questo brano?

Si, uno perché gli direi, ti rendi conto di cosa hai scritto? Perché poi tutti si sono basati su questa cosa. E’ come se lui avesse viaggiato nel futuro….

e in più ha spinto un bambino a fare….

….E ora è il momento della musica suonata delle note che escono dal pianoforte e ti entrano dentro e ti arrivano dirette al cuore e scatenano emozioni forti. Perché è questo che sento quando ascolto “Al chiaro di Luna” di Beethoven, e fantastico nella mia mente di essere io al pianoforte e che, come dice Ezio, in quel momento quella musica sia mia.

Rinaldo Chiodini

Pino Daniele: “’o blues napulitano”

Sei anni fa a gennaio moriva all’età di 59 anni un grande della musica napoletana moderna: Pino Daniele.

Egli ha avuto il merito di rivoluzionare la musica napoletana proprio in un periodo storico in cui essa attraversava una crisi profonda. Il periodo d’oro della canzone napoletana era finito da parecchi decenni ed anche il Festival di Napoli appariva già come un ricordo archiviato. Si sentiva la necessità di modernizzare la melodia almeno fino al limite del possibile.

La tecnica compositiva di Pino Daniele è stata influenzata dalla musica rock, dal jazz di Louis Armstrong, dal chitarrista George Benson e soprattutto dal blues. Questi generi americani sono sempre stati presenti in tante sue canzoni napoletane ed anche italiane.

Nato nel Quartiere Porto di Napoli il 19 marzo 1955, Pino Daniele era primogenito di sei figli. Durante la sua infanzia conosce Enzo Gragnaniello.

Appassionato alla musica fin da piccolo, Pino imparò a suonare la chitarra da autodidatta, ed incluse nella sua musica aspetti del contesto sessantottino che guideranno l’espressione artistica del cantautore negli anni successivi.

Approdò al gruppo “Napoli Centrale” nel 1976, anno in cui pubblicò il suo primo 45 giri “Che calore”.

L’anno della sua svolta artistica avviene nel 1977. In questo anno pubblica diverse canzoni che segneranno la sua carriera come “Napule è”, “Terra mia” e “Na tazzulella e cafè”.

Importante fu il sodalizio con il sassofonista James Senese. Egli avrebbe contribuito alla crescita musicale di Pino Daniele.

Altre celebri canzoni di quel periodo datate 1979, furono: “Je so pazzo”, “Je sto vicino a te”, “Chi tene o’ mare”, “E cerca e me capì”, “Basta na jurnata e sole” e “Putesse essere allero”.

Gli anni ’80 furono anni fondamentali per l’artista napoletano: il 27 giugno 1980 suonò allo stadio di San Siro a Milano con Bob Marley davanti a 80 mila persone e l’anno dopo egli tenne un concerto in Piazza del Plebiscito a Napoli di fronte a 200 mila spettatori.

Di quegli anni non dobbiamo dimenticare alcune sue pietre miliari: “A me me piace ‘o blues” e “Quanno chiove”, entrambe composte nel 1980 e “Bella ‘mbriana” (1982).

Compose anche alcune colonne sonore rimaste famose nel panorama del cinema italiano. Tra le più celebri ricordiamo “Assaje”, interpretata dall’attrice Lina Sastri per il film “Mi manda Picone” (1983) di Nanny Loy, (le restanti musiche del film sono del batterista Tullio De Piscopo), “Ricomincio da Tre” (1981), “Le vie del Signore sono finite” (1987) e “Pensavo fosse amore, invece era un calesse” (1991); questi ultimi tre film furono diretti da Massimo Troisi.

Negli anni ’90 Pino Daniele ridusse il numero dei suoi concerti per motivi di salute . Di quegli anni diventarono famose canzoni come “Quando” (1991), composta per il film già citato “Pensavo fosse amore, invece era un calesse” di Massimo Troisi”, “O ssaje comme fa o’core” (1991), e “’O scarrafone” (1991).

Nonostante la rottura con la melodia classica napoletana, Pino Daniele restò fedele alle sue radici. Infatti nel 1991 fece interpretare al cantante Roberto Murolo la canzone “Lazzari felici” scritta sette anni prima e pubblicata nell’album “Musicante” (1984).

Il suo successo commerciale arrivò nella seconda metà degli anni ’90 con gli album: “Non calpestare i fiori nel deserto” (1995), e “Dimmi cosa succede sulla terra” (1997). Quest’ultimo risultò il disco più venduto in Italia per otto settimane consecutive, arrivando a vincere l’edizione del Festivalbar 1997 con il brano “Che male c’è”.

Nei primi anni duemila le canzoni di Pino Daniele sono contaminate dalla melodia nordafricana come possiamo notare nelle musiche dell’album “Medina” pubblicato dalla BMG-Ricordi nel febbraio del 2001.

Tra le canzoni più celebri di questo album ricordiamo “Via Medina”, “Mareluna”, “Lacrime di sale” e “Senza ‘e te”.

Ma nel 2004 il cantautore abbandonò le sonorità nordafricane mirando altrove. Qui grazie all’aiuto del Peter Erskine Trio, pubblicò l’album “Passi d’autore”. Le canzoni di questo album presentano una coloritura jazz alternata al sapore barocco dei madrigali cinquecenteschi, (soprattutto di quelli del compositore napoletano del ‘500 Gesualdo da Venosa). Tra le più significative ricordiamo “Gli stessi sguardi”, “Ali di cera” e “Aspettando l’aurora”. Inoltre questo album contiene il brano “Pigro” presentato al Festivalbar di quello stesso anno.

Pino Daniele e James Senese

Nel 2008, in occasione del trentennale della sua carriera pubblicò insieme a Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Joe Amoruso e Rino Zurzolo l’album “Ricomincio da 30” dedicato all’amico Massimo Troisi, scomparso nel 1994.

Sempre nello stesso anno tenne a Napoli a Piazza del Plebiscito un celebre concerto che riscosse un’eco entusiastica. A questa manifestazione parteciparono numerosi ospiti come Giorgia, Irene Grandi, Avion Travel, Gigi D’Alessio e Nino D’Angelo.

Nel 2010 collaborò anche con altri grandi della musica americana come Eric Clapton.

Con lui si esibì al Toyota Park di Chicago. Nello stesso anno duettò con Mina, Franco Battiato, J-Ax e Mario Biondi.

La sera del 4 gennaio 2015 Pino Daniele muore a soli 59 anni a causa di un infarto nella casa di Orbetello in Toscana.

Con la scomparsa di Pino Daniele, si perde un punto di riferimento nel panorama musicale italiano e napoletano; scompare un vero cantautore rivoluzionario, che è stato capace di rinnovare la tradizionale canzone melodica partenopea contaminandola con sonorità jazz, rock e blues. Infatti, l’artista aveva originato soprattutto negli anni ’80 un vero e proprio fermento innovativo a Napoli, aprendo la strada ad altri cantanti. Egli è stato capace di raccontare con grande maestria attraverso le sue canzoni la rabbia, il malcontento, la povertà e la bellezza soprattutto di quella città dove era nato e alla quale era molto legato e che spesso nell’immaginario collettivo italiano era stata considerata come l’aveva definita Goethe: “Napoli, un paradiso abitato da diavoli”.

Francesco Furore