Da Chopin a Kapustin
Un’esibizione davvero brillante quella di Stefano Donatelli, sabato sera all’auditorium di Piazza Castello.
Nonostante un programma arduo sia tecnicamente che stilisticamente, le mani di Stefano non sembrano avere incertezze.
D’altronde il modo di studiare e di affrontare poi l’esecuzione di qualsiasi brano, sono ormai noti a tutti quelli della “cerchia stretta”.
E anche per quelli non proprio della cerchia strettissima, che ormai non sono pochi, (soprattutto nel paese di Palosco dove da tempo si esibisce tramite e con l’Associazione di cui egli stesso fa parte), Stefano è una garanzia ogni volta che si avvicina alla tastiera. Per i collaboratori, per gli organizzatori, per il pubblico che lo conosce non c’è bisogno di biglietto di presentazione.
Le sue prime esecuzioni risalgono e nascono con “Suoni e Armonie” nel 1997, allora partecipante come allievo principiante, nel concerto serale della scuola; l’unica particolarità è che questo allievo di giovanissima età presentò un programma con brani di Chopin, Liszt, Rachmaninoff, e Scriabin.
Già allora si intuì, come questi brani di livello non lo intimidissero, e soprattutto, come gli fossero congeniali alcuni autori postromantici. Là, dove la musica si faceva complessa e la tecnica ardua, si vide una certà famigliarità, come se questi brani avessero lasciato il posto all’entusiasmo piuttosto che alla preoccupazione nonostante l’età.
Anche se a rigor di vero, Stefano oggi scrive che alcuni autori quali Granados, dopo averli sentiti in varie occasioni di saggi e manifestazioni locali, fossero già “nel mirino” a quell’epoca, arrivarono comunque più tardi, almeno per quanto riguarda il pubblico.
E sempre a rigor di vero, nelle discussioni, in cui caldamente e animosamente , si è molte volte dissertato nel corso di questi anni, di musica, di armonia, di stile e molto altro. Della musica e ciò che gli sta intorno si discute…da sempre.
A mio parere, ed a differnza di Stefano, tutto questo non fa parte tanto di “lacune scolastiche”, quanto di quel lavorio continuo che porta il nome di “maturazione”.
L’interpretazione dei brani di tutti i grandi autori, fra i quali anche Granados e Kapustin, è sempre (o almeno deve essere) il risultato di un lungo e attento lavorio; e soprattutto il fatto che ogni decisione di come e quando portare le proprie scelte all’esterno, nasce dal pensiero, dal ripensamento e dalla ricerca, dalla conoscenza e dalle idee. Se poi le scelte riguardano autori non comuni come Kapustin, il percorso è ancora più complesso.
In quanto a Kapustin: l’armonia è in movimento continuo fra modalità, tonalità e cromaticità con contaminazioni anche Jazzistiche; melodicamente scivola continuamente quasi sempre da una scala all’altra, sembra trovare la stabilità di un tema definito almeno armonicamente; qualche slancio romantico non manca, e ritmicamente le combinazioni sovrapposte e complesse non lasciano respiro…l’elemento ritmico più semplice è quantomeno la sincope.
Nicolay Kapustin, un maturo signore dalla barba bianca conosciuto oltre continente, con tutta l’aria del professore che si rivela quando seduto al pianoforte, sembra far diventare tutto semplice. Le sue composizioni cominciano da poco tempo ad apparire timidamente in qualche raro cartellone, e gli spartiti fino a qualche tempo fa erano difficilmente reperibili.
D’altra parte la scrittura dei grandi compositori non lascia spazio a mezze verità! Come diceva un mio grande maestro: “nella musica non si possono raccontar bugie”.
E le mezze verità sono verità non dette fino in fondo. Se si omette qualcosa, in sostanza si mente.
L’interprete oltre alle “mani” (che pure deve lungamente esercitare) si deve porre davanti al compositore con l’umiltà e la consapevolezza che quel che è stato scritto, non è spendibile con leggerezza.
In caso contrario si snaturerebbe il contenuto, il significato, l’intenzione del compositore; si tradirebbe il fine ultimo della musica. Personalmente mi sentirei di recare offesa al compositore se non alla musica stessa. Le “mani” sono il mezzo, ma la musica è la mente e l’anima. E tutto questo ha un costo, un costo a volte elevato che si prolunga nel tempo, negli anni. Non è gratutito neanche alle “nature dotate”. Ci si sente come incompleti, mancanti di qualcosa, e quando si finge di non vedere, è come se si tradisse la musica che fa parte di noi.
La musica per sua essenza non tradisce; le persone son capaci di tradire… ma la musica no!
E quindi il sentimento è di assoluta trasparenza verso quest’arte sublime…non è possibile tradirla.
Se da qualche tempo non sentivamo Stefano Donatelli regalare al pubblico nuove musiche, nuovi autori, nuove ricerche ed intenzioni musicali, l’altra sera questo è in parte avvenuto.
Uso l’espressione “in parte” perchè frequento la musica da anni, e mi sento di dire a cuor sereno che la strada potrà riservare sicuramente altre nuove scoperte ed emozioni.
Che Stefano Donatelli sia già “avanti” con il pianoforte, lo ha ampiamente dimostrato in questi anni, ma ha anche dalla sua parte il fatto che è giovane, ed ha ancora molte risorse da giocare.
Nel frattempo ci mostra la vivacità dei colori dei quadri di Goya attraverso Granados. Due brani da “Goyescas”, la suite per pianoforte composta nel 1911 in due libri ispirata a opere di del grande pittore. I 2 brani eseguiti: “Los requiebros” (i complimenti) e “el pelele” (il fantoccio di paglia).
Questa raccolta, venne eseguita da Granados stesso, nel 1911 il primo libro fu eseguito al Palau de la Musica Catalana di Barcellona e il secondo libro nel 1914 alla Salle Pleyel di Parigi. Dopo il successo e la risposta entusiastica, fu incoraggiato a far di questo brano un opera dal pianista americano Ernest Schelling, che eseguì la Suite negli Stati Uniti,
La stessa, in un atto e tre quadri su libretto di Fernando Periquet y Zuanznabar, andò in scena la prima volta al Metropolitan Opera di New York City il 28 gennaio 1916.
Schumann e Chopin vicini nel periodo romantico e così diversi fra loro. Anche i “classici” del repertorio pianistico non lasciano spazio ad incertezze. Nonostante la contemporaneità storica, e l’amicizia fra Chopin e Schumann, le loro opere esigono tecnica, intenzioni, e rigore stilistico completamente differenti.
In sostanza un concerto di non facile realizzazione.
Ecco tutto, il resto si può immaginare…!
Sabato sera 11 maggio nell’Auditorium di Piazza Castello di Palosco, in concerto erano : Schumann, Chopin, Granados e Kapustin: un programma vario e ricercato, difficile, bello, inusuale e interessante.
Al pianoforte Stefano Donatelli.
Giampaolo Botti